Notevoli rischi ambientali sono oggi rappresentati dall'espansione dell'abitato e degli insediamenti industriali, dall'incognita dei piani regionali di mobilità e conseguentemente di escavazione, che potrebbero stravolgere l'attuale assetto della viabilità e delle destinazioni produttive e paesaggistiche occupando una parte ingente dell'attuale campagna, soprattutto nelle zone naturalistiche ancora interessanti come la costa e tutto il declivio verso il letto dell'Adda.
Non c'è molto da dire sulle tradizioni casiratesi, per lo più riconducibili alla ritualità religiosa comune a tutto il territorio circostante e come tali in netto declino.
Feste patronali del paese sono la ricorrenza di S. Marco, il 25 aprile, con processione al Santuario di Caravaggio e la celebrazione della Madonna ad ottobre. Tipiche dei periodi estivi erano nei tempi passati le "infiorate" di carta che ornavano i portoni dei cortili, le "foiade", una tipica pasta confezionata in casa a forma di farfalla, condita con sughi con i quali i casiratesi si sbrodolavano abbondantemente gli abiti festivi, a detta dei visitatori pettegoli, e le ciambelle, che non avevano niente di diverso da quelle preparate nei paesi vicini.
Altre usanze, come le sfilate carnevalesche di carri e le competizioni tra "contrade", sono invenzioni recenti e non hanno nessun fondamento storico nel paese.
Permanevano invece, fino a qualche decennio fa, e sono ora del tutto abbandonate alcune usanze legate ad antichi culti pagani degli alberi, ma anche i più anziani le ricordano a fatica. Non è invece chiaro perché i casiratesi fossero soprannominati in passato "gusetù", giacché potevano essere gozzuti o colpiti da pellagra e da altri malanni della povertà, esattamente come gli abitanti dei paesi vicini. Forse l'epiteto stava a sottolineare la nomea di sciocchi, grossolani e creduloni di cui, non si sa con quanto merito, queste genti godevano: tra gli anziani dei borghi del circondario abbondano gli aneddoti al riguardo. Resta da citare un aspetto deteriore delle tradizioni casiratesi: la rivalità campanilistica che ha diviso per decenni o forse più gli abitanti dai vicini arzaghesi, creando pregiudizi e scarsa volontà di collaborazione nell'affrontare problemi comuni.
Spesso uniti ma sempre autonomi negli interessi, i due abitati hanno instaurato in certi momenti un clima di sospetto reciproco, che potrebbe sembrare ridicolo se non avesse avuto anche le sue vittime.
Si arrivò persino alle cosiddette "guerre delle sassate", che vedevano i giovani casiratesi attendere, appostati sulla scalinata della chiesa, gli arzaghesi che si recavano a Treviglio a piedi per lavoro, colpendoli con fitte sassaiole in modo da costringerli a seguire un altro percorso intorno al paese.
Se si pensa alla fatica che ciascuno doveva affrontare nei decenni passati per sopravvivere, queste angherie supplementari dovrebbero apparire nella loro triste luce dì lotte tra poveri e costituire un monito per il superamento di stereotipi e generalizzazioni, che portano solo disgrazie: si sa, infatti che a causa di questi atteggiamenti ci scappò anche il morto, creando ulteriore odio tra le famiglie dei due paesi.
Oggi, per fortuna, l'afflusso di altra gente e altra cultura nei nostri centri ha contribuito a far relativizzare agli abitanti quel bisogno di identità mal direzionato e sembra si siano sfaldati i movimenti dì quelle rivalità.
A metà strada tra Casirate ed Arzago si trova un porticato, probabilmente un riparo agricolo lì da tempo immemorabile, un po' simbolo di unione tra genti in cerca d'ombra, sovrastato dall'alto della costa poco distante dalla chioma di un grande platano, la "pianta d'or", anch'esso più vecchio del più vecchio di ciascun paese, che spinge le sue radici chissà dove: unica costruzione inutile e unico "piantù" superstite, sopravvissuti al tempo e ai giochi della geografia e della politica, sono queste, forse le testimonianze storiche pia preziose del territorio, perché, come la gente che ha generato questo piccolo paese, nascono non dalle ambizioni di glorie e bellezze lontane, ma dalla terra e dal lavoro e come tutti i figli della terra e del lavoro sanno vedere molto lontano.