Storia del comune
Ultimo aggiornamento: 5 giugno 2024, 10:57
Si fa risalire la sua storia all'età Longobarda, o verso la fine di quella Romana, come agglomerato di abitazioni, o terreno "casariatum". Il documento più antico nel quale compare per la prima volta Casirate, secondo gli storici, risale all'anno 774 d.c. Ne fa menzione il longobardo Taido (Taidone), consigliere del re Desiderio, nel suo testamento: cita fondi e case coloniche in Bergias e Blancanuca (tra Casirate d'Adda e Fara d'Adda) e di una chiesa in Casirate dedicata a Maria Vergine. Prima dell'anno 1000 era terra del Contado di Trevillio. Subentrato ad essere Capo di Distretto dopo la rovina di Palasio per opera dell'Arcivescovo di Milano e Vescovo di Cremona e Piacenza.
Nel 1186 Federico Barbarossa, con altre terre della Geradadda, lo infeudò al Comune di Milano e, salvo qualche breve intervallo, ne seguì sempre le sorti politiche sino al 1797 quando passò a far parte del Dipartimento del Serio (che fu poi la Provincia di Bergamo). Casirate doveva però avere una certa importanza se Siccardo, Vescovo di Cremona (1206), assegna alla Chiesa di S. Maria 4 preti e 1 a quella di S. Gregorio Pontefice (oggi non più esistente soppresso nel 1663 -, ma in quel tempo officiata dai Padri Serviti, dipendenti dal Convento di S. Vittore di Cremona), se con Lecco, Vaprio e altri paesi viene citato nell'elenco fra i luoghi di passaggio dove si riscuoteva il dazio.
Sono queste brevi notizie storiche per meglio inquadrare le sue origini.
Arrivando a Casirate d'Adda, la prima cosa che si nota è l'originale posizione a cavallo dell'antico argine o sponda del lago Gerundio, formato dagli straripamenti dell'Adda in età antica e prosciugato in età longobarda, che fa popolarmente dividere il paese in due zone: "al volt" e "al bas".
Il nucleo più antico e originario di Casirate si trova in quella che appare un po' l'acropoli, corrispondente all'odierna piazza Papa Giovanni XXIII, in cui si trovano il Castello, la Parrocchiale e il Municipio (che oggi ha sede nell'ex-Villa Blondel, a pochi passi da suddetta piazza).
"... Sorgeva (il Castello) sul ciglio di una ripa sparsa di boscaglie e sovrapposta ad acque stagnanti, avanzi di inondazioni dell'Adda che gli agricoltori sbattuti sempre dalle guerre, non avevano nè tempo nè mezzi di inalveare. Intorno al castello, molte povere case, la più parte coperte di paglia, formavano il piccolo borgo di Casirate ...".
Così era verso il 1520 il nostro paese secondo Massimo D'Azeglio.
Il Castello, già dei Visconti, passato poi ai Menclozzi, successivamente ai conti Candiani, è formato da un grande cortile a cui si accede attraverso un imponente portone e da altri notevoli edifici.
Sulla facciata la lapide apposta il 30 ottobre 1955 dall'allora parroco di Casirate, cultore di manzoniane memorie, don Francesco Donati, a ricordo del battesimo di Enrichetta Blondel.
Di notevole importanza storica è la villa Blondel oggi sede del palazzo Comunale: si tratta di una costruzione settecentesca che conserva alcuni ricordi del poeta, scrittore e uomo politico Massimo d'Azeglio. Altro esempio di dimora gentilizia di campagna è il palazzo ex-Arciducale nel quale, nella prima metà del secolo XIX, amava trascorrere qui i periodi di riposo l'Arciduca e Viceré del Lombardo-Veneto, Ranieri d'Asburgo: conserva un bel portone di pietra ed un ampio cortile d'ingresso, dietro al quale si estende un vasto giardino all'inglese ricco di piante rare.
Le antiche tradizioni casiratesi sono ancora oggi sentite in occasione delle due festività patronali. La prima, dedicata a San Marco, si svolge in primavera (ultima domenica di aprile) dal 1631 a ricordo della liberazione dalla peste per intercessione del Santo. La seconda, in onore della Madonna Immacolata, è meglio conosciuta come "la quarta", poiché celebrata la quarta domenica di ottobre.
Origini ed evoluzione
Non sono documentate le origini del paese, risalenti probabilmente alla tarda età romana o longobarda: non è escluso che l'attuale torre del castello poggi su antiche fondamenta di un torrione romano collocato in posizione strategica a ridosso della "costa", dove si incrociavano le principali vie di comunicazione locali, la Bergamina con direzione nord-sud e le strade basse che collegavano il centro abitato con i guadi del fiume Adda attraverso un'ampia area selvosa, la Selva Greca, che da Fara Gera d'Adda correva ininterrotta lungo il fiume fino a Lodi.
La presenza nella zona di depressione ad occidente del centro abitato di un lago o Mare Gerundo è in parte leggendaria e nasce forse dalla presenza in età altomedioevale di terre rinselvatichite ed interamente impaludate dopo l'abbandono dei coltivi testimoniati dalle tracce di centuriazione romana e dalla presenza di ville rusticlie e sepolture dissotterrate nei centri vicini.
Non è escluso che le vaste paludi richiedessero barche per l'attraversamento e proprio a Casirate si è voluto individuare una testimonianza di ciò in un dubbio anello per l'attracco su una colonna sita presso l'antico convento abbandonato di San Gregono, oggi cascina.
In realtà, come si è già detto, la stessa "custéra" non dovrebbe essere che il segno della deviazione preistorica del corso dell'Adda, terrazzamento fluviale su un ramo morto del fiume poi interamente prosciugato. Il nome del paese è citato per la prima volta in un documento del 774, il testamento del longobardo Taido che dona alcune proprietà alla basilica di Santa Maria in "Caseriate": in documenti successivi, tra il X e il XIII secolo, si accenna a "Casirade", "Caxerate". "Caxerato", in riferimento a vicende legate al vescovo di Cremona e alla Pieve di Arzago.
L'etimologia non è chiara, ma la spiegazione più accreditata fa risalire il toponimo a "Caseariate", nel senso di possedimento caratterizzato dalla produzione e stagionatura di formaggio (la "casèra"). Ipotesi certamente attendibile vista la millenaria destinazione a pascolo del fertile territorio. Il nome precedente di Casirate Gera d'Adda verrà mutato in Casirate d'Adda nel 1863, dopo l'unità d'Italia. Prima del 1000 il paese fu un agglomerato di case intorno alla chiesa, dipendente dal ducato di Treviglio.
Nel 1186 Federico Barbarossa lo infeudò con altri centri della Geradadda al Comune di Milano, al quale rimarrà legato, con alterne vicende, fino al 1797, quando diventò parte del Dipartimento del Serio, poi Provincia di Bergamo. Dall'indice delle pievi dei registri origmari del Catasto teresiano (1730-31) il paese risulta elencato tra le "terre separate" del Ducato di Milano passate poi alla provincia di Bergamo.
Casirate fu proprietà nel Medioevo della Pieve di Arzago e della diocesi di Cremona. della quale la parrocchia fa ancora parte, nell'intrico di confini diocesani che caratterizza la Geradadda. Per tutto il Basso Medioevo il paese seguì, senza prenderne parte attivamente, le vicende degli scontri poiitici tra le famiglie dei comuni più grandi. Fu in gran parte possedimento dei Torriani, i quali contribuirono alla sistemazione irrigua del territorio ottenendo da Bergamo tra il 1301 e il 1305 la concessione della derivazione dal fiume Brembo della roggia detta di Guido della Torre.

I Trevigliesi, venuti in possesso di alcune terre del paese, le vendettero, conservando la proprietà delle acque e mettendo in serie difficoltà le attività agricole del paese: proprio in seguito a tale evento Casirate si consorziò con Calvenzano e Vailate ed ottenne dal Duca Filippo Maria Visconti la concessione di derivare dall'Adda l'attuale roggia Vallata, dalla quale partono per la maggior parte i canali irrigui a tutt'oggi utilizzati per l'irrigazione del territorio comunale.
Dai Visconti ai Blondel
Il paese passò poi sotto il dominio dei Visconti e in seguito dei Menclozzi. Stabilitisi nel castello: divenne nel 1525 feudo degli Sforza, marchesi di Caravaggio, e passò sotto la giurisdizione di questo centro: vi dominarono poi i conti Candiani e infine, nell'800, i Crippa-Curletti che, dopo la prima guerra mondiale affidarono la rocca ai loro coloni. Il periodo della dominazione spagnola fu caratterizzato da degrado ambientale e produttivo, oltre che da disordine amministrativo: si accentuarono i caratteri deteriori comuni alle zone di confine e di conflitto, nelle quali proliferano solitamente contrabbando, brigantaggio e prepotenze più o meno istituzionalizzate. Anche qui non mancarono i "bravi" e i traffici, che misero in ombra gli onesti commerci ("tèra da cunfì, tèra da asasì", si suol dire), rendendo il territorio comunale chiuso, pericoloso e pressoché incolto, infestato da fiere (lupi, in particolare, dei cui sinistri ululati al limitare del paese narrano le cronache) e da genti poco raccomandabili, pronte a tutto per sopravvivere, al cui confronto il serpentone "Tarantasio" che, secondo le antiche leggende, infestava il Lago Gerundo col suo fetore sbranando i bambini poteva ormai far sorridere.
Episodi significativi, di cui resta memoria documentata furono le razzie ordinate dal generale francese Lautrec in marcia verso Treviglio nel 1522 e le incursioni dei lanzichenecchi, mercenari tedeschi al soldo delle armate francesi, ai quali è legata l'epidemia di peste che nella primavera del 1631 portò alla tomba ben 67 cittadini.
Una leggenda vuole che i casiratesi, dopo aver invocato invano l'intercessione di San Rocco, si liberassero della statua lignea del santo buttandola in una roggia e che le acque la condussero ad Arzago, nella cui chiesa è ancora conservata.
Sembra che da allora sia iniziato il culto di San Marco Evangelista, invocato in concomitanza con la fine della fase acuta dell'epidemia: il santo fu venerato come patrono del paese mettendo in ombra il precedente San Gregorio Magno.
Nel luogo a sud del paese dove furono sepolti gli appestati fu poi eretta la chiesa di San Rocco al Lazzaretto. Ampliata nel 1788 e dedicata poi a San Luigi Gonzaga, recentemente restaurata e riaperta al culto, dopo anni di abbandono e di degrado. La parrocchiale dedicata a S. Maria Immacolata, nelle attuali forme neoclassiche, fu edificata invece tra il 1787 e il 1790. a ridosso dell'argine, con facciata rivolta a sud, su sito di una precedente chiesa con facciata verso la piazza, da sempre centro nevralgico del potere politico e religioso nel paese. Ormai scomparso, in seguito alla soppressione avvenuta nel 1663. il monastero di San Gregorio al Dosso, dei Serviti, oggi cascinale per uso agricolo, senza tracce significative della precedente destinazione.
Bisognerà attendere il XVIII secolo per veder fiorire di nuovo il paese, grazie all'arrivo degli austriaci, che introdurranno nella zona tutta la loro cultura amministrativa e la sapienza nell'organizzazione agricola, incentivando la coltivazione del grano, la produzione del latte e le manifatture tessili con la bachicoltura. Anche l'organizzazione del lavoro ed i rapporti sociali vedranno nel secolo dei lumi profonde trasformazioni, in particolare la progressiva sostituzione della mezzadria con l'affitto e lo sfruttamento sempre più intenso della manodopera femminile.
Ampliamente documentate sono le controversie che opposero la comunità ai Menclozzi nel 1653 e all'inizio del 1700 ed ai Candiani e Borrani ai tempi della Repubblica Cisalpina per la destinazione della piazza del paese, simbolo della libertà dei cittadini, nella quale i proprietari volevano mantenere una coltivazione di gelsi.

A Casirate è stata tradizionalmente prestata una buona attenzione all'assistenza ai bisognosi e all'educazione, a cui hanno contribuito con lasciti e donazioni le famiglie più ricche e la parrocchia: si ricorda l'intervento del 1659 di Don Antonio Barbarossa, che si premurò di garantire una distribuzione annua di miglio (coltivazione allora molto diffusa) ai poveri del paese, con i proventi dei terreni detti "La Valle".
Rimane traccia di tali attività caritative nella proprietà comunale della "Cascina dei Poveri", gestita fino a pochi anni fa da enti assistenziali, così come nell'ente morale che gestiva gli investimenti per istruzione infantile.
Il periodo risorgimentale vede la presenza nel paese di figure legate ai moti patriottici, che fannocapo alla famiglia Blondel. Questi, di fede calvinista, arrivarono nella Lombardia austriaca con il loro capostipite Luigi intorno al 1770 per commercializzare pietre preziose e, dopo aver fatto affari nel Ducato di Milano, si spinsero nella Bergamasca, stabilendo una propria residenza a Casirate, nei cui dintorni si fecero conoscere per l'acquisto della filanda e di vaste proprietà della Chiesa.
Il matrimonio della giovane Enrichetta Blondel con Alessandro Manzoni non fu un avvenimento molto significativo per il paese, dove sembra che lo scrittore non sia mai stato, anche a causa dei forti attriti con la famiglia della donna, dopo la conversione cattolica di questa.
D'altra parte, i Blondel furono sempre piuttosto estranei alla vita del paese, carichi com'erano del marchio d'infamia per aver acquistato, da buoni affaristi ginevrini, proprietà espropriate alla Chiesa.
Di loro restano a Casirate solo delle lapidi, anche se le amministrazioni recenti hanno voluto prendere a pretesto i natali della consorte dì Manzoni per attuare un meritorio intervento di finanziamento per l'incentivazione degli studi manzoniani, con l'organizzazione di convegni e pubblicazioni.
Tradizioni e rivalità
Notevoli rischi ambientali sono oggi rappresentati dall'espansione dell'abitato e degli insediamenti industriali, dall'incognita dei piani regionali di mobilità e conseguentemente di escavazione, che potrebbero stravolgere l'attuale assetto della viabilità e delle destinazioni produttive e paesaggistiche occupando una parte ingente dell'attuale campagna, soprattutto nelle zone naturalistiche ancora interessanti come la costa e tutto il declivio verso il letto dell'Adda.
Non c'è molto da dire sulle tradizioni casiratesi, per lo più riconducibili alla ritualità religiosa comune a tutto il territorio circostante e come tali in netto declino.
Feste patronali del paese sono la ricorrenza di S. Marco, il 25 aprile, con processione al Santuario di Caravaggio e la celebrazione della Madonna ad ottobre. Tipiche dei periodi estivi erano nei tempi passati le "infiorate" di carta che ornavano i portoni dei cortili, le "foiade", una tipica pasta confezionata in casa a forma di farfalla, condita con sughi con i quali i casiratesi si sbrodolavano abbondantemente gli abiti festivi, a detta dei visitatori pettegoli, e le ciambelle, che non avevano niente di diverso da quelle preparate nei paesi vicini.
Altre usanze, come le sfilate carnevalesche di carri e le competizioni tra "contrade", sono invenzioni recenti e non hanno nessun fondamento storico nel paese.
Permanevano invece, fino a qualche decennio fa, e sono ora del tutto abbandonate alcune usanze legate ad antichi culti pagani degli alberi, ma anche i più anziani le ricordano a fatica. Non è invece chiaro perché i casiratesi fossero soprannominati in passato "gusetù", giacché potevano essere gozzuti o colpiti da pellagra e da altri malanni della povertà, esattamente come gli abitanti dei paesi vicini. Forse l'epiteto stava a sottolineare la nomea di sciocchi, grossolani e creduloni di cui, non si sa con quanto merito, queste genti godevano: tra gli anziani dei borghi del circondario abbondano gli aneddoti al riguardo. Resta da citare un aspetto deteriore delle tradizioni casiratesi: la rivalità campanilistica che ha diviso per decenni o forse più gli abitanti dai vicini arzaghesi, creando pregiudizi e scarsa volontà di collaborazione nell'affrontare problemi comuni.
Spesso uniti ma sempre autonomi negli interessi, i due abitati hanno instaurato in certi momenti un clima di sospetto reciproco, che potrebbe sembrare ridicolo se non avesse avuto anche le sue vittime.
Si arrivò persino alle cosiddette "guerre delle sassate", che vedevano i giovani casiratesi attendere, appostati sulla scalinata della chiesa, gli arzaghesi che si recavano a Treviglio a piedi per lavoro, colpendoli con fitte sassaiole in modo da costringerli a seguire un altro percorso intorno al paese.
Se si pensa alla fatica che ciascuno doveva affrontare nei decenni passati per sopravvivere, queste angherie supplementari dovrebbero apparire nella loro triste luce dì lotte tra poveri e costituire un monito per il superamento di stereotipi e generalizzazioni, che portano solo disgrazie: si sa, infatti che a causa di questi atteggiamenti ci scappò anche il morto, creando ulteriore odio tra le famiglie dei due paesi.
Oggi, per fortuna, l'afflusso di altra gente e altra cultura nei nostri centri ha contribuito a far relativizzare agli abitanti quel bisogno di identità mal direzionato e sembra si siano sfaldati i movimenti dì quelle rivalità.

A metà strada tra Casirate ed Arzago si trova un porticato, probabilmente un riparo agricolo lì da tempo immemorabile, un po' simbolo di unione tra genti in cerca d'ombra, sovrastato dall'alto della costa poco distante dalla chioma di un grande platano, la "pianta d'or", anch'esso più vecchio del più vecchio di ciascun paese, che spinge le sue radici chissà dove: unica costruzione inutile e unico "piantù" superstite, sopravvissuti al tempo e ai giochi della geografia e della politica, sono queste, forse le testimonianze storiche pia preziose del territorio, perché, come la gente che ha generato questo piccolo paese, nascono non dalle ambizioni di glorie e bellezze lontane, ma dalla terra e dal lavoro e come tutti i figli della terra e del lavoro sanno vedere molto lontano.